Letteratura

Per l’articolo di questa settimana, ringraziamo ancora una volta il Dott. Maurizio Azzolina, che ci fornisce un valido argomento per riflettere di estetica, diagnosi accurata e interdisciplinarità: la gestione dei black triangles.

 

Black Triangles: preventing their occurrence, managing them when prevention is not practical

Pugliese F, Hess R and Palomo L

Semin Orthod 2019; 25:175-186

 

Questo tema, infatti, tocca l’ambito estetico, perché vari studi riportano come i triangoli neri interdentali siano percepiti negativamente dalla popolazione generale e odontoiatrica. L’ambito diagnostico, perché un’accurata diagnosi è fondamentale per ridurre il rischio di comparsa dei black triangles. E l’interdisciplinarità, dal momento che a volte è fondamentale un adeguato scambio di informazioni tra ortodontista, parodontologo e odontoiatra restauratore per la loro corretta gestione.

 

OBIETTIVO

Discutere dell’eziologia multifattoriale dei black triangles e degli approcci per prevenirli o gestirli.

 

L’EZIOLOGIA

La prevalenza di spazi interdentali ampi, con conseguente comparsa di triangoli neri, si aggira intorno al 38% all’interno della popolazione ortodontica adulta (Cunliffe et al 2009). Considerando che sempre più adulti richiedono un trattamento ortodontico, una adeguata conoscenza delle cause che conducono alla perdita della papilla interdentale ed alla comparsa di black triangles è fondamentale per una corretta gestione del caso.
La papilla è, infatti, chiave dell’estetica del settore frontale. Vari studi, disegnati per valutare la percezione estetica di diversi parametri relativi ai tessuti molli, da parte di popolazioni odontoiatriche e non, hanno concluso che i triangoli neri sono i fattori percepiti come maggiormente negativi per l’estetica del sorriso (Batra et al 2018; Cunliffe et al 2009; Kokich et al 1999).
D’altronde, se è vero che molti fattori entrano in gioco nel determinare i black triangles, è anche vero che un ruolo importante è svolto dalle caratteristiche anatomiche della stessa papilla. Quest’ultima, infatti, vascolarizzata da piccoli rami terminali del microcircolo gengivale, è una regione particolarmente fragile e delicata.

Diversi sono i fattori che entrano in gioco nella comparsa dei black triangles:

  1. Invecchiamento, che determina un assottigliamento ed un riduzione della cheratinizzazione dell’epitelio, con conseguente possibile riduzione dell’altezza della papilla interdentale. Chang (2006) ha osservato che con l’età si ha un aumento della distanza interdentale e una riduzione dell’altezza della papilla. Ne consegue che in un trattamento ortodontico di un soggetto adulto inevitabilmente si potrà osservare la comparsa di un black triangles, senza possibilità di modificare questo rischio;
  2. Biotipo parodontale, con il tipo sottile maggiormente soggetto a recessione;
  3. Distanza tra cresta alveolare e punto di contatto. Si tratta del fattore più critico e segue le regole dettate da Tarnow et al nel 1992. Quando la distanza tra il punto di contatto e l’osso alveolare è pari o minore a 5mm, la papilla riempie lo spazio interdentale nel 98% dei casi; a 6mm, la presenza della papilla scende al 56% dei casi; a 7mm, la papilla è presente solo nel 27% dei casi. L’ortodontista potrà mitigare il rischio di black triangles tenendo a mente questo parametro;
  4. Forma delle corone divergenti o triangolari. A causa di questa conformazione, il punto di contatto si trova posizionato più incisalmente, con conseguente aumentata distanza rispetto alla cresta alveolare e maggiore estensione dello spazio interdentale. Un’analisi pretrattamento della forma delle corone può mettere in guardia sul rischio di black triangles;
  5. Estensione e posizione dei punti di contatto. Punti di contatto piccoli e localizzati in direzione incisale, sono maggiormente associati a black triangles rispetto a punti di contatto ampi. Questo succede perché l’estensione del punto di contatto modifica la distanza rispetto alla cresta alveolare;
  6. Angolazione delle radici che, aumentando, determina un ampliamento dello spazio interdentale, con un conseguente aumentato rischio di black triangles. Kurt e Kokich (2001) hanno dimostrato che, in condizioni di normalità, le radici divergono di 3.65°;
  7. Distanza tra le radici, al cui aumentare si riduce il numero di papille che riempie gli spazi interdentali (Cho et al 2006);
  8. Morfologia dello spazio interdentale. Uno spazio interdentale ampio e un’aumentata distanza tra giunzione smalto-cemento e punto di contatto sono maggiormente associati a recessione della papilla (Chang 2007);
  9. Trattamento ortodontico. Alcuni studi hanno rilevato delle associazioni positive tra certi movimenti ortodontici e comparsa di triangoli neri. In particolare, movimento linguale degli incisivi (An et al 2018), intrusioni importanti (An et al 2018) ed estrazione di un incisivo inferiore (Uribe et al 2011).

 

LE STRATEGIE

Da un punto di vista prettamente ortodontico, controllare tutti i possibili fattori di rischio visti finora non è sempre possibile. Così come non sempre gli spostamenti dentari ortodontici sono in grado di gestire gli spazi interdentali e le papille. Pertanto è fondamentale una gestione multidisciplinare del caso, che tenga conto delle attuali conoscenze di tipo parodontale (tecniche di preservazione della papilla e di rigenerativa) e conservativo.

In particolare, l’odontoiatria restaurativa, grazie alla capacità di modificare la forma delle corone con approcci diretti o indiretti, sarà in grado di gestire le dimensioni degli spazi interdentali, così come l’estensione e la posizione dei punti di contatto. Aspetti, questi ultimi, che come abbiamo visto hanno una influenza diretta sulla distanza tra punto di contatto e cresta alveolare.

Per quanto riguarda le strategie ortodontiche, esse non possono prescindere da una attenta valutazione del caso, mirata ad individuare i fattori di rischio correlati alla comparsa di black triangles. In particolare, i parametri da valutare sono l’adeguata inclinazione degli assi dentali e la forma delle corone.

Al fine di ricercare ed ottenere quella divergenza radicolare, indicata da Kurt e Kokich (2001) come 3.65°, un corretto posizionamento dei bracket sull’asse lungo del dente è imprescindibile. Questo deve tenere conto dell’asse dentale ricavato dalla ortopantomografia e non deve essere influenzato dall’andamento del margine incisale. Eventuali anomalie dei margini, saranno corrette con metodiche restaurative.

Come già visto, anche la forma delle corone dentali, in particolare degli incisivi, deve essere analizzata con attenzione, dal momento che ha un’influenza diretta sulla posizione più o meno incisale del punto di contatto e, di conseguenza, sulla distanza tra le radici, sulla estensione dello spazio interdentale e sulla distanza tra cresta alveolare e punto di contatto stesso. La riduzione interprossimale dello smalto è l’approccio più appropriato per risolvere o scongiurare la comparsa di un triangolo nero. Lo stripping, infatti, trasforma il punto di contatto tra i denti adiacenti in una superficie di contatto, spostandolo di conseguenza più gengivale e riducendo la distanza rispetto alla cresta alveolare. Lo spazio tra i denti che si ottiene con lo stripping deve essere chiuso attraverso un movimento corporeo, mirato a mantenere la corretta angolazione delle radici.

 

CONCLUSIONI

La gestione dei triangoli neri interdentali è una sfida quotidiana per l’ortodontista ed ha ripercussioni sia estetiche sia funzionali. L’eziologia è multifattoriale, anche se tutti i fattori analizzati influenzano quello che i ricercatori considerano il parametro principale, ovvero la distanza tra la cresta alveolare e il punto di contatto interdentale. Un lavoro di team, che coinvolga ortodontista, parodontologo e odontoiatra restauratore è fondamentale per prevenire e gestire i black triangles.